Ritmi accidentali e incidentali in musicoterapia

In uno scritto fondamentale1
Marius Schneider, riferendosi alla straordinaria
capacità osservativa dell’uomo primitivo, espone la sua particolare attitudine
percettiva. Secondo il pensatore alsaziano, il nostro progenitore nel momento
in cui si poneva nello stato osservativo aveva la capacità di cogliere l’essenza
ritmica della realtà fenomenica percepita. In questa prospettiva il nostro
antenato, durante l’osservazione, non era attratto dagli aspetti superficiali che
apparivano alla sua vista e, fatto ancor più rilevante, al suo udito ma la sua
attenzione era catturata dalla percezione dell’essenza acustica di ciò che
osservava, ossia la dimensione ritmica della realtà in cui era immerso.
Pertanto la persona, durante l’atto osservativo, era in grado di distinguere, nel
limite del possibile, la propria dimensione ritmica, ossia la percezione dei
ritmi accidentali da quella che proveniva dall’insieme osservato, ossia i ritmi
incidentali. Durante la percezione del ritmo accidentale (sé) e di quello
incidentale (altro da sé), il nostro antenato era attratto da alcune dimensioni:
l’ora, il luogo e l’emozione.
“Nel ritmo accidentale,
 l’ora si riferisce principalmente alla luce del giorno e al momento
preciso dell’osservazione.
 Il luogo indica il posto dove si è prodotto il fenomeno osservato.
 L’emozione corrisponde alla situazione psicologica soggettiva
nella quale si trovava l’osservatore in quel momento.”2.

Nel ritmo incidentale,
 “… l’ora si riferisce al tempo come fattore dinamico e veicolo del
ritmo creativo. …
 Il luogo … si riferisce… agli stessi ritmi caratteristici che la natura
di questo luogo ha imposto (azioni compiute dall’osservato)… .
 L’emozione… è… comunicata all’osservatore dal ritmo dell’oggetto
stesso.”3.
Sebbene la riflessione di Marius Schneider provenga dall’etnomusicologia, di
cui l’alsaziano è ritenuto l’ideatore, a parer mio può avere feconde
implicazioni in ambito musicoterapico.
Ripensando alla personale realtà lavorativa, il contesto musicoterapico in cui
opero è caratterizzato dalla compresenza dei ritmi accidentali (la mia
soggettività) e quelli incidentali che promanano dalle altre persone presenti.
Nel processo musicoterapico quindi, io e le persone coinvolte viviamo il
tempo (l’ora) e lo spazio (il luogo), esprimendo, con gli strumenti
musicali, le musiche ascoltate e i silenzi, il nostro carico emozionale.
Ho sempre sottolineato l’importanza di ascoltare e accogliere la propria
dimensione emozionale4, cercando di distinguerla nettamente da ciò che
l’altro esprime al fine di evitare dannose proiezioni.
L’apporto schneideriano ci suggerisce una nuova possibilità d’azione
musicoterapica poiché, secondo il pensatore alsaziano, l’emozione vissuta
dall’osservato è comunicata all’osservatore mediante i ritmi che realizza
nello scenario osservativo.
Ora, alla luce di questa stimolante riflessione, ripenso e mi interrogo sul mio
modo d’operare.
Se l’uomo primitivo aveva e affinava la capacità di cogliere intuitivamente la
dimensione ritmica propria e altrui, perché è ora così difficile per me,

pensatore razionale e analitico, ascoltare, senza correre il rischio di falsare il
dato preso in esame, la dimensione emozionale che l’altro esprime
con gli strumenti musicali che sceglie?
Una possibile risposta al singolar quesito la posso ritrovare, ancora una volta,
nel contributo schnederiano quando afferma che la percezione ritmica
non avviene per ragionamento analitico ma intuitivamente poiché
per “… vivere un ritmo… è indispensabile abbandonarsi senza
riserve a tale ritmo per un tempo molto lungo, scartando ogni
tipo di intervento dell’intelligenza discorsiva.”5.
In questa prospettiva forse la mia ricerca deve avvalersi di un atavico e sopito
intuito percettivo da risvegliare con cautela, ossia affidarsi alla ricezione dei
ritmi incidentali e, in particolare, alla dimensione emotiva che li
caratterizzano, facendo attenzione a non confonderli con i miei ritmi
accidentali.
Ovviamente questa prospettiva di lavoro privilegia la percezione della
dimensione emozionale dei partecipanti, trascurando apparentemente aspetti
maggiormente oggettivi.
Dalle iniziali e personali rilevazioni posso testimoniare che inspiegabilmente i
dati oggettivi, caratterizzanti le dimensioni temporali, spaziali e musicali
dell’altrui interlocutore, acquisiscono significato e non appaiono come freddi
indicatori delle evoluzioni del processo musicoterapico anzi lo avvalorano e lo
rendono maggiormente umano se circostanziati alla dimensione emozionale
da cui promanano.



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bonardi.giangiuseppe@gmail.com | Leggi altri articoli pubblicati

Musicoterapeuta / Saggista

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