Il Cervello Vicino al Cuore
Ci sono dei momenti nella nostra vita personale e comunitaria in cui diventa molto importante comprendere la distinzione fra le parole Pertinenza e Priorità.
La prima raccoglie in sé tutto ciò che si può ritenere utile in certe specifiche situazioni, in certe occasioni, in certi contesti. La seconda, diversamente, ci invita a distinguere fra tutte le pertinenze individuate, quelle che risultano essere davvero importanti, da fare subito, cioè quei lavori o quelle attività prioritarie che devono assolutamente essere svolte prima di tutte le altre.
Ora, nostro malgrado, siamo entrati nel bruttissimo periodo del Coronavirus e quindi, anche con un briciolo d’intelligenza credo che tutti i cittadini italiani, almeno quelli più coscienti, abbiano ben compreso che, fra tutte le cose pertinenti da fare, ce n’è una che è prioritaria su tutto: salvare le vite!
Per poter giungere a far sì che questa importantissima priorità possa rendersi davvero efficace si possono ritenere altrettanto prioritari, in questo momento, i comportamenti che ci invitano alla privazione di prossemiche di intimità, come appunto il restare a casa, evitare gli incontri a quattrocchi, i grandi raduni, e tantissime altre azioni importanti che ora non stiamo qui a ripetere.
E anche l’assunzione di questi comportamenti umani, non tanto pertinenti alla nostra natura altamente socializzante, in questo brutto stato pandemico, non possiamo fare a meno di riconoscerli giusti e utili per tutti, quindi prioritari per poter pensare di offrire un prossimo futuro alle nostre singole vite e a quelle degli altri.
Per sopperire a questo obbligato distacco relazionale che disumanizza ogni persona, ci siamo rivolti alla tecnologia digitale, tanto osannata da più di un ministro del nostro governo, che si sono pure orgogliosamente permessi di affermare che da questa grave crisi, finalmente, si potrà sviluppare quella che già attendevamo da anni: la grande rivoluzione culturale offerta oggi dallo smart working, dal lavoro svolto da remoto, dalle class-room, etc.
Sia ben chiaro, noi non abbiamo nulla contro il mezzo digitale, anche perché tutti i giorni ci intrecciamo le dita in vari modi, e quindi non abbiamo nulla in contrario a riconoscere che in questa grave e inedita circostanza, la tecnologia digitale ci può venire in aiuto, e che quindi possiamo ritenerla un mezzo prioritario, in questo ben preciso e non certo in assoluto.
A questo punto cerchiamo di giungere al problema che ci sentiamo in dovere di far emergere proprio nei confronti specifici della nostra scuola.
Possiamo ben capire che in un momento come questo si possa ritenere prioritaria la lezione digitale nelle sue varie forme, ma quando avremo vinto la battaglia contro il Coronavirus, sino a che punto la scuola dovrà ritenere prioritaria questa formula d’insegnamento? E ci teniamo ad evidenziare che stiamo usando volutamente il termine insegnamento, al posto di educazione, perché il mezzo tecnologico, per quanto ludico e attraente, induce molto di più all’insignere, cioè al far segni addosso come fa Zorro quando usa la spada “insignendo” il retro dei pantaloni del simpatico sergente Garcia.
L’educazione, al contrario dell’insegnare, ha bisogno di presenza viva perché deve educĕre, estrarre, tirar fuori ciò che è già presente nella persona, nella sua biografia, nei suoi vissuti, nelle sue azioni, nel suo comportamento, nelle sue relazioni, emozioni, abilità, saperi acquisiti… insomma tutto il suo saper essere nella vita.
Ci uniamo fermamente a tutti coloro che credono che non possa esistere alcun Ministero dell’Istruzione in grado di sostenere la sola priorità della cultura e della lezione digitale in qualsiasi ordine scolastico.
Quando tutto sarà ritornato alla normalità, anche la tecnologia digitale dovrà ritornare nel suo quotidiano alveo delle pertinenze scolastiche, poiché la priorità della scuola sta proprio nel contatto, nella relazione umana, poiché è questo il prioritario rapporto che forma davvero la Persona.
Infatti, la parola Persona proviene dal greco Prósôpon, composto dalla combinazione di due parole Pròs (di fronte) e Òpsis (allo sguardo) e, sapendo pure che Prósôpon ha dato origine alla parola italiana Persona, per noi significa che l’essere umano è tanto più Persona quanto più si trova di fronte a qualcuno che lo sta osservando. È proprio grazie a questa relazione umana che i nostri giovani possono acquisire l’essere Persone vere, quando rivolgono lo sguardo verso gli altri e quando, nello stesso istante, si lasciano dagli altri guardare. Insomma i nostri studenti agiranno tanto più da vere Persone quanto più sapranno rivolgere lo sguardo verso l’altro e, con l’atto di volgersi, mostreranno il loro volto all’altro. E così dovranno relazionarsi i tanti educatori, come Persone mature. Al contrario, distogliere lo sguardo nei confronti di chi abbiamo di fronte è, nello stesso momento, sia un negare l’altro come Persona e sia un negare noi stessi come Persone.
In breve, senza lo sguardo, senza il riguardo, si annulla il concetto-valore stesso di Persona!
E allora questa è la vera priorità della scuola, della relazione in presenza che supera lo stesso sapere, perché senza il saper essere persona non trova alcun senso la conoscenza per la nostra umana specie.
Questa cosa dà senso anche ai medici, agli infermieri e agli operatori sanitari che in questo giorni, in evidente e costante presenza, sanno che cosa significa offrire anche il loro occultato volto ai contagiati gravi. Sì oggi sono lì, presenti, a dimostrare loro vera dote qualitativa di Persone.
I nostri figli, con l’ab-uso dei mezzi digitali, è già da tempo che non sanno più guardare i compagni, i genitori, e non sarà certo con l’aumento dell’uso delle lezioni digitali che potranno recuperare la loro dimensione di Persona deprivata dalle loro più che curve posture visive verso il basso.
No, signori esperti pedagogisti del Ministero dell’Istruzione, una scuola sarà tanto più umana quanto più saprà sviluppare abilità, conoscenze e competenze grazie alla quotidiana relazione fra Persone, grazie alla costante e importante evoluzione, in presenza, di una vera e propria Etica dei volti.
Certo, nessuno lo nega, il digitale è e rimarrà pur sempre un mezzo pertinente per tutti noi, non solo per la scuola, perché offre tante e nuove possibilità del fare e del capire. Ma la Vita e la Relazione umana rimarranno pur sempre prioritarie, anche quando il Coronavirus avrà svolto il suo malefico compito, anche se qualcosa di molto importante ci lascerà: la presa di coscienza che gli esseri umani sono veramente tali quando possono esaltare la Vita nella vera Relazione con gli altri! E dunque è anche bene riconoscere che i nostri bravi educatori, ben prima del Coronavirus, e anche senza le lezioni digitali erano Persone che avevano da tempo compreso il grande valore del rispetto che va manifestato nei confronti delle giovani Persone che hanno sempre potuto avere davanti ai loro occhi. E speriamo, che fra poco, così potranno continuare a fare.
Lo sguardo umano quando è ripetuto, diventa riguardo, e chi riguarda l’altro mostra rispetto, e il rispetto è profondo solo quando il cervello è cosciente di trovarsi vicino al cuore.
La cultura digitale non è nata per questo importantissimo compito umano e umanitario! È la scuola che deve assumersi questo importante compito, ogni giorno, in classe, purché non dimentichi la sua priorità altamente qualitativa, nata per non far dimenticare ai nostri figli che le Persone sono solo quelle umane, pienamente umane, prioritariamente umane!
Immaginate, possa esservi la possibilità per la cultura digitale di generare un Edson Arantes do Nascimento o, se volete una Tamara de Lempicka? Un Riccardo Muti? Un paracadutista capace o, piuttosto un centometrista da dieci secondi netti? Qualcuno starà pensando: ma cosa c’entra, la scuola non deve formare campioni, artisti, sportivi. La scuola deve formare cittadini!
Certo, è così, ma alla fine se può definirsi un cittadino colui che è in grado di scegliere, questi dovrà essere insieme un artista, uno sportivo e un campione.
L’etimologia di questi termini contiene l’umano e ne delinea le capacità nel fare e del fare per la comunità, per se stesso e per continuare a sentirsi l’unicum che sostanzia ognuno di noi.
Riteniamo il digitale un’opportunità imperdibile. ma siamo altresì certi che la dimensione della scuola non può e non deve esulare dal rapporto che genera la presenza e l’interazione che si evolve nel rapporto interpersonale.
In questi giorni connotati dal Coronavirus la nostra scuola è stata costretta a utilizzare unicamente il digitale. Questo ha determinato la possibilità per tanti docenti di acquisire competenze che altrimenti mai avrebbero assunto e ciò è un oggettivo bene, però, riscontriamo anche una dispersione che è latente, naturalmente per coloro i quali non vogliono guardare appieno dentro le cose. Bambini, ragazzi, e giovani studenti che in più interviste e sondaggi raccontano la noia mortale che li assale nel corso di questi momenti digitali che, inopportunamente e prioritariamente chiamiamo lezioni. E la colpa non è certamente di quanti con straordinaria abnegazione stanno facendo l’impossibile per continuare nella propria funzione (i docenti) a dare il contributo cui sono chiamati per il ruolo che lo Stato gli ha conferito. Il problema attiene proprio allo strumento perché il digitale è nato per altro, innanzitutto, per supplire, unire, connettere nell’intento di immettere le persone in un’altra realtà in cui tutto è affermabile almeno quanto il contrario di tutto. Osserviamo questo tempo e vediamo sempre più uomini e donne che per sempre più secondi, minuti, ore e giorni, restano avvinti di touch screen. Guardiamo, poi, il tartan vuoto, il pallone riposto nello sgabuzzino, il libro abbandonato, magari aperto e con l’orecchio alla pagina che resta fermo e lontano dagli occhi, nell’incompiuta azione con la parola letta e scritta che libera il cervello vicino al cuore… È per caso questa visione che ci porta a immaginare la scuola che sarà? Una scuola in cui il digitale sia davvero in grado di far comprendere quanto Google possa determinare perversioni proiettate verso la superficialità, o addirittura quanto Facebook non sia altro che uno strumento al quale affidiamo la nostra Persona esponendola al mercato?
No, noi speriamo tanto di più, con il cervello vicino al cuore, in una scuola in grado di farci tornare alla materia di cui siamo fatti, alla terra vilipesa come non mai, e che con priorità assoluta è stata difesa da quei giovani che, nei venerdì precedenti il Coronavirus, hanno avuto lo straordinario coraggio di portare i loro corpi, la loro Persona in strada, non per chiedere un nuovo iphone, ma quanto piuttosto che il mondo possa mutare, e finalmente si torni a… riveder le stelle… immaginando che tante volte basterebbe guardare verso l’alto e permettere, a ogni essere umano, di sentirsi parte del cielo.
Tutti i giorni operiamo per dar vita e forma a questa scuola, una scuola prioritaria, in cui tutti possano sentirsi accolti come Persone reali, comprese e accompagnate nella conquista della loro vita.
Pedagogista / Musicista